L'accelerazione della "storia" che il progresso scientifico, tecnologico, ha determinato, forse mette "fuori gioco" individui ed intere popolazioni, accorcia la quantità di "tempo" a disposizione per stare al passo. Uno dei mali che ne conseguono sono le "resistenze" di chi è restio a prendere atto che "non è più" tempo per certe cose, che è venuto il "tempo" di cambiare. Dietro la "presunzione" di chi si arroga il diritto di fermare il "progresso", c'è la paura, il mero istinto di sopravvivenza, Ma resta spazio per dirci che il tempo non è solo quantità ma è anche qualità? Il Greci dicevano Cronos, per dire il tempo sequenziale, quello che si misura in ore giorni o anni. ma avevano un altra parola - Kairos - per dire il "tempo opportuno" e anche il "momento supremo", con ciò significando che il raggiungimento di un obiettivo richiede il "suo" tempo, che oltre ad un "troppo tardi", c'è anche un"troppo presto". Qui la presunzione (i Greci direbbero l'Hybris) non porta alla resistenza, ma probabilmente alla fretta.
Quello che in me vedi è il tempo dell'anno In cui ingiallite foglie pendono dai rami e cadono rabbrividendo incontro al gelo nude rovine ove già cantavano gli uccelli. Quello che in me vedi è il crepuscolo del giorno Che ad occidente svanisce nella sera e piano piano la notte nera inghiotte ombra di morte in cui tutto si placa. Quello che in me vedi è il brillar del fuoco che tra le ceneri di gioventù giace come sul letto di morte in cui ha fine oggi consunta da ciò che la nutriva un dì. Questo di me tu vedi che l'amore tuo accresce Perché meglio tu possa amare chi lascerai tra poco. That time of year thou mayst in me behold, When yellow leaves, or none, or few do hang Upon those boughs which shake against the cold, Bare ruined choirs, where late the sweet birds sang. In me thou seest the twilight of such day, As after sunset fadeth in the west, Which by and by black night doth take away, Death’s second self that seals up all in rest....