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Visualizzazione dei post da novembre, 2014
Sono nella casa di S. Giuseppe, nella taverna dove ci sono due pianoforti.Io ne suono uno e l'altro risuona per simpatia. E' una musica allegra, forse la marcia di schubert per 4 mani, anche se io suono da solo. Alla porta si affacciano mia madre e mio padre, poi mio nonno, la Stefania, mi pare anche Ugo mio fratello. Sono compiaciuti e allegri. Io sono felice.
Sto andando in bici in equilibrio sopra un muretto tra due canali. Alla fine del muretto c'è un salto e prima o poi so che cadrò, ma accelero. Una bambina è seduta dietro di me e non ha paura. (E' Stefania?) Un vecchio arrabbiato, sembra un contadino, mi urla che così non si fa. Mi tira dei sassi che colpiscono la bici e il muretto. L'acqua dei canali è diventata impetuosa come un'alluvione.
Sono in cucina nella casa di S. Giuseppe e taglio un pezzo di carne cruda con un coltello molto grosso. Mi sono ferito ad un dito ed il mio sangue va sulla carne. Una donna abbastanza formosa (assomiglia ad una mia giovane collega con la quale ho avuto solo rapporti di lavoro) guarda la scena e dice di fare presto che ha fame. Ma poi mi dice che col sangue non le piace e che lo darà ad un'altra e mi denuncerà perché invece di lavorare perdo tempo.

AGORAFOBIA

Da un po’ di tempo le notti di Lisander erano turbate da un incubo ricorrente. Sognava d’essersi ritirato assai presto la sera. Subito dopo si ritrovava sveglio fuori dal letto nel corridoio di casa. Teneva gli occhi chiusi senza motivo. Avrebbe potuto facilmente accendere la luce, ma preferiva l’oscurità. Anche così si sentiva al sicuro. Sotto la pianta dei piedi riconosceva il disegno consueto delle mattonelle. Cinque sei sette passi ed ecco la porta del bagno, al solito posto. Tutto ad un tratto, non era più buio come prima. Avvertiva ora un’intensa luce provenire dall’alto, come se si trovasse in un luogo aperto e illuminato. Forse una piazza che gli era ben nota della sua città. Lisander percepiva benissimo il lume artificiale dei lampioni, anche se teneva sempre gli occhi chiusi per non guardare. L’aria fresca e umida sul viso gli confermava che non era nel bagno di casa. Non vedeva nulla, ma riconosceva i passi frettolosi della gente che rincasa prima di cena, i rumori consu
Ho sognato. C'è una donna anziana seduta sulle scale della casa di S. Giuseppe. Potrebbe essere mia madre ma non le somiglia. Piagnucola ma non si capisce cosa dice. Mi fa arrabbiare che non si muove da lì. Vado a chiamare mia madre di sopra (ma non era lei sulle scale?) per chiedere aiuto. Di sopra le luci sono spente e non c'è nessuno. Non sembra la casa di S. Giuseppe ma una cantina buia e umida.
(sogno) Fuori piove e io sono riparato in un posto poco ospitale. Sembra un  magazzino o un fienile abbandonato, molta sporcizia e calcinacci e ho  paura degli scorpioni o altre bestie che possono esserci là sotto la  ad alzarmi. Qualcuno, forse mio fratello Ugo mi chiama al cellulare,  paglia impolverata su cui mi sono steso. Malgrado questo non riesco,  ma io non rispondo.

SULL'ATROCE MORTE DI PASOLINI (G. TESTORI)

"Sull'atroce morte di Pasolini s'è scritto tutto; ma sulle ragioni per cui egli non ha potuto non andarle incontro, penso quasi nulla. Cosa lo spingeva, la sera o la notte, a volere e a cercare quegli incontri? La risposta è complessa, ma può agglomerarsi, credo, in un solo nodo e in un solo nome: la coscienza e l'angoscia dell'essere diviso, dell'essere soltanto una parte di un'unità che, dal momento del concepimento, non è più esistita; insomma, la coscienza e l'angoscia dell'essere nati e della solitudine che fatalmente ne deriva. La solitudine, questa cagna orrenda e famelica che ci portiamo addosso da quando diventiamo cellula individua e vivente e che pare privilegiare coloro che, con un aggettivo turpe e razzista, si ha l'abitudine di chiamare "diversi". Allora, quando il lavoro è finito (e, magari, sembra averci ammazzati per non lasciarci più spazio altro che per il sonno e magari neppure per quello); quando ci si alza dai ta