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Visualizzazione dei post da giugno, 2017

Credendo di sfuggire al labirinto

Dimentica presto la sua radice Il fiore che si crede figlio del cielo Disperdendo il seme lo regala Al vento. Il suo odore che stordisce Inonda il notturno eden estivo Dove ha abituato i sensi all’oblio Vivendo un presente senza età Ignorando per sempre il suo destino. E’ la vita che aspira all’ascesa Ma il cui volo ha ali troppo fragili Dissipate andando incontro al sole. Icaro credendo di sfuggire al labirinto Costruito dal padre insegue un sogno Senza ritorno e senza sepoltura.

Umberto

Sono riuscito a malapena a leggere Il titolo del libro che tenevi chiuso Con innocente incuria: Manuale Per poeti garzoni. Umilmente Ti credevi l’ultimo scolaro Ma leggevi il crepuscolo e il volo Delle rondini e sapevi ascoltare I segreti canti della terra. L’esame più difficile hai superato A pieni voti nascendo poeta Frequentando con profitto La scuola elementare ossia la vita Rimanendo dentro al cuore Principiante fino all’ultimo.

Come le rose in mezzo alle spine

Il luogo in cui si incontravano Non era mai casa loro e nemmeno La notte era mai loro del tutto Ma piuttosto loro le appartenevano Il loro letto era una nave fuori rotta E l’amore era sbocciato inopportuno Come le rose in mezzo alle spine Che nessun altro osava raccogliere Parlavano a voce bassa ripetendosi Mille volte sempre le stesse parole Che sgorgavano come sangue dalle ferite Poveri di tutto non temevano l’eccesso Nè l’insensatezza improvvisa dell’amore Confidavano spesso nel sorriso uno dell’altra.

Fuori piove

Fuori piove. Comincia una pessima giornata. Fuori piove. Nemmeno occorre che guardo. Lo so, lo sento. Una piovosa mattinata d’inverno e di merda. Credimi, me ne intendo di giornate così. Comunque ti do un’indizio: la macchia. Sì, la macchia di umidità sul soffitto. La vedi come si allarga? Ieri era solo un fastidioso alone sopra la finestra. Ora guarda come cammina lungo la parete e poi là in alto. Un lavoro fatto bene. Tra un po’ arriva alla base del lampadario proprio nel centro della stanza, sopra il letto. Ecco ora capisci anche tu. Comunque stammi a sentire. Fuori piove e non possiamo farci niente.  Va bene, apri la tapparella. Guarda giù, la vedi la vecchia già in strada? Si quella con la badante che non sa se deve spingere la carrozzella o reggere l’ombrello. Guarda dove vanno: sono le sette di mattina e lei esce per andare al caffè proprio qui sotto. E’ sempre così. Estate, autunno, primavera, finché arriva l’inverno. Resta lì tutta la mattina? Dalle sette a mezzogiorno. Tut

Assurdo come bussare alla mia stessa porta.

E tu a dire che si può ricominciare Ma io partivo sempre un giorno prima Del tuo arrivo trascinando la valigia Della mia assenza lungo il viaggio Ti avessi atteso un minuto in più Forse non dimenticavo le chiavi Di casa per rientrare o almeno Il tuo nome per poterti chiamare. Ciò che alla fine mi resta è la cognizione Della mia assenza che ora mi pesa Come quella valigia piena di sassi. Ora che vedo che il ritorno è inutile Come è stata la mia fuga e assurdo Come bussare alla mia stessa porta.

Ho visto fiumi di lacrime nei tuoi occhi

Ho visto fiumi di lacrime nei tuoi occhi Tempeste di sospiri deliri d’ansia Ma se d’amore è vero che si muore Perché morire d’amore immaginato? Me lo chiedo ora che ho camminato Percorrendo l’aspro sentiero del tempo E più mi avvicino al luogo destinato Più d’affaticata distanza appassisco Quando ancora giovane combattevo Sfidavo l’amaro sguardo della Morte Fissando la pena nell’occhio del nemico Dalla sua ferita traevo il mio conforto Ora il mio vecchio spirito si volge altrove Il mio cuore è libero ma senza speranza.

Tu ti aggiri fiutando il territorio

Come cagna che cerca la mia traccia Tu ti aggiri fiutando il territorio In questa che non è mai stata casa Ma rifugio di braccato animale. La tua inesausta curiosità risale Al piano di sopra e ridiscende Nulla trovando di ciò che vale Nulla che meriti la tua bontà. Dissipando le mie ombre disperate Togli l’inutil precauzione alla vergogna Di cui solo con te non arrossisco. Alla finestra ti poni come una vedetta Impaziente che il mio sembiante appaia Di ritorno da una caccia vittoriosa.

Guardandomi un attimo per abitudine

Lentantamente ti sei voltata verso di me Guardandomi un attimo per abitudine Come stanca di non potermi dimenticare Come si fa con un pensiero molesto Non c’era simpatia né sorpresa E nemmeno la rassicurante attesa Dell’ora del ritorno quando a sera Non ci sono pensieri negli sguardi. E’ rimasto solo il desiderio triste della tregua. So che non fingeremo mai più di credere alle nostre bugie. Ti sei voltata e forse nemmeno mi hai visto E’ stato un attimo prima d’andar via Dietro le spalle salutavo il tuo cammino.