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Digesta seu Pandectae

Digesta è dal latino digerĕre dividere in parti o sezioni per mettere ordine fare a pezzi o porzioni per distribuire spartire lo si fa col cibo quando se ne fa bocconi si tritura coi denti digerendo poi tutto - cibum quod dentes digerunt direbbe Seneca - - prima digestio fit in ore - raccomanda la Scuola salernitana ma la regola vale per ogni cosa che transita dalla nostra bocca. Pandectae invece viene dal greco παν ossia tutto e δέχομαι prendi ricevi o raccogli tutto insieme come viene viene purché non vada disperso. Ed ecco che qui dentro in me trovi tutto a pezzetti forse un poco alla rinfusa storie sogni canti e pensieri cose di oggi e cose di ieri tanti di/versi frammenti raccolti a mucchietti addentati inghiottiti digeriti a metà.
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Al mattino fingiamo che ritorni Ogni cosa al suo posto, ma i baci A volte non tornano e fa freddo Fuori e anche dentro al mio letto. Ho nostalgia di quando tu stavi Sopra il mio petto e ti facevi Piccola come uno scoiattolo Sussurandomi la tua felicità. Ho voglia di quei rari risvegli Dopo notti scaltre e senza sonno Ho nostalgia dei tuoi occhi grigi Dei tuoi capelli neri arruffati. L’ha promesso all’aurora un canto Ti bacerò prima che scenda la sera.

Machiavelli la lettera a Vettori

Magnifico oratori Florentino Francisco Vectori apud Summum Pontificem et benefactori suo. Romae (A Francesco Vettori, Magnifico ambasciatore fiorentino presso il Sommo Pontefice, proprio benefattore. In Roma) Magnifico ambasciatore. Tarde non furon mai grazie divine. Dico questo, perché mi pareva haver perduta no, ma smarrita la grazia vostra, sendo stato voi assai tempo senza scrivermi; ed ero dubbio donde potessi nascere la cagione. E di tutte quelle mi venivono nella mente tenevo poco conto, salvo che di quella quando io dubitavo non vi havessi ritirato da scrivermi, perché vi fussi suto scritto che io non fussi buon massaio delle vostre lettere; e io sapevo che, da Filippo e Pagolo in fuora, altri per mio conto non le haveva viste. Hònne rihaùto per l'ultima vostra de' 23 del passato, dove io resto contentissimo vedere quanto ordinatamente e quietamente voi esercitate cotesto ufizio publico; e io vi conforto a seguire così, perché chi lascia i sua comodi per li com

Volerà alto il segreto

Entrerò per un sentiero nascosto Nella tua vita perfetto sconosciuto Incomprensibile come un mistero Nel buio rimarrò a lungo celato. Aspetterò che maturi il frutto Tardivo - all’amore estremo Atto di resa - facendoti credere Che torni tutto come già fu. Uscirò al mattino come la fine Di un buio sogno il cui inizio È omesso, indizio indecifrato D’un progetto rimasto sospeso. Nel cielo aperto e senza nuvole volerà alto il segreto del tempo.

Credendo di sfuggire al labirinto

Dimentica presto la sua radice Il fiore che si crede figlio del cielo Disperdendo il seme lo regala Al vento. Il suo odore che stordisce Inonda il notturno eden estivo Dove ha abituato i sensi all’oblio Vivendo un presente senza età Ignorando per sempre il suo destino. E’ la vita che aspira all’ascesa Ma il cui volo ha ali troppo fragili Dissipate andando incontro al sole. Icaro credendo di sfuggire al labirinto Costruito dal padre insegue un sogno Senza ritorno e senza sepoltura.

Umberto

Sono riuscito a malapena a leggere Il titolo del libro che tenevi chiuso Con innocente incuria: Manuale Per poeti garzoni. Umilmente Ti credevi l’ultimo scolaro Ma leggevi il crepuscolo e il volo Delle rondini e sapevi ascoltare I segreti canti della terra. L’esame più difficile hai superato A pieni voti nascendo poeta Frequentando con profitto La scuola elementare ossia la vita Rimanendo dentro al cuore Principiante fino all’ultimo.

Come le rose in mezzo alle spine

Il luogo in cui si incontravano Non era mai casa loro e nemmeno La notte era mai loro del tutto Ma piuttosto loro le appartenevano Il loro letto era una nave fuori rotta E l’amore era sbocciato inopportuno Come le rose in mezzo alle spine Che nessun altro osava raccogliere Parlavano a voce bassa ripetendosi Mille volte sempre le stesse parole Che sgorgavano come sangue dalle ferite Poveri di tutto non temevano l’eccesso Nè l’insensatezza improvvisa dell’amore Confidavano spesso nel sorriso uno dell’altra.

Fuori piove

Fuori piove. Comincia una pessima giornata. Fuori piove. Nemmeno occorre che guardo. Lo so, lo sento. Una piovosa mattinata d’inverno e di merda. Credimi, me ne intendo di giornate così. Comunque ti do un’indizio: la macchia. Sì, la macchia di umidità sul soffitto. La vedi come si allarga? Ieri era solo un fastidioso alone sopra la finestra. Ora guarda come cammina lungo la parete e poi là in alto. Un lavoro fatto bene. Tra un po’ arriva alla base del lampadario proprio nel centro della stanza, sopra il letto. Ecco ora capisci anche tu. Comunque stammi a sentire. Fuori piove e non possiamo farci niente.  Va bene, apri la tapparella. Guarda giù, la vedi la vecchia già in strada? Si quella con la badante che non sa se deve spingere la carrozzella o reggere l’ombrello. Guarda dove vanno: sono le sette di mattina e lei esce per andare al caffè proprio qui sotto. E’ sempre così. Estate, autunno, primavera, finché arriva l’inverno. Resta lì tutta la mattina? Dalle sette a mezzogiorno. Tut