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RITORNO A CASA (LE VOCI DIETRO LA PORTA)

Arranco al buio nel corridoio d’ingresso, tastando le pareti in cerca del contatore. Inopportuno squilla il cellulare. E' lei, un po' preoccupata
“Ah, sei tu! Scusa, entro in questo momento...no no, tutto a posto... quale albergo? Ma no! Stanotte mi sistemo qui…”.
Da fuori il riflesso dei fari di un’auto illumina per un attimo l'interno della casa.
“…ma certo, certo…il tipo dell'agenzia ha visto la casa. Dice che non è un buon momento, però ha capito... vendere, vendere prima possibile…”.
Contatore trovato. Luce nel corridoio. In cucina e nella sala da pranzo, invece, gli interruttori girano a vuoto.
“Maledizione!...No niente, un po' di lampadine andate… Senti cara… ti chiamo domani, dai!”.
Adesso lei ha la voce di una bambina.
”...ma no, piccola...dai! Certo che mi manchi… Sì, mi arrangio…in cameretta, figurati c'è ancora il mio lettino... comodo, sì, dai! Un bacio. Ciao.”
La telefonata è finita e nella casa vuota torna il silenzio. Quella non è più la mia casa da tanto tempo. Non è la casa di nessuno adesso che anche papà se n’è andato, un anno esatto dopo la mamma.
Guardo in ogni stanza. L'illuminazione c'è solo in corridoio. Meglio così. Non ho bisogno di troppa luce. Dopotutto, è stata la mia casa per i primi vent’anni della mia vita e ogni cosa, perfino la disposizione dei arredi, è rimasta come la ricordavo.
Freddo e odore di chiuso. Neanche la vecchia radio in cucina funziona. Non resta che mettersi a letto. Mi tolgo le scarpe e mi stendo senza spogliarmi. La cameretta è la stessa di quando avevo tredici anni. I libri di scuola sullo scaffale. Le strisce di Snoopy alle pareti. I miei soldatini. C’è anche Iglio il coniglio. Da bambino mi sembrava enorme. E’ stato qui tutto il tempo a fare la guardia e ora star diste ai piedi del letto, senza un’orecchio.
Senza pensare, guardo verso la piccola porta incassata nella parete di fronte. E’ chiusa. Di là c’è la stanza di mamma e papà. La luce fioca del cellulare sul comodino improvvisamente si spegne e tutto sprofonda nel buio. Era così anche da piccolo. La mamma spegneva la luce dopo il bacio della buonanotte ed io per un po’ stavo sveglio a fissare il barlume filtrare da sotto la porta finché si spegneva.

”Sei sicura che…?” bisbiglia la voce maschile un po’ rauca svegliandomi all'improvviso.
“Ma sì, ti assicuro” risponde una donna. “Dorme come un angioletto”.
“Fa’ piano. Ci sente.”
Mi siedo sul bordo del letto cercando di capire da dove vengono le voci. Nel buio sembra che una lama sottile di luce trapeli da sotto la piccola porta chiusa in fondo alla cameretta.
“Si muove! Ci ha sentito!” dice allarmata la voce maschile.
“Ma no, stai sognando”.
“Ssst!”
Un lungo silenzio. In punta di piedi scendo dal letto. Mi avvicino alla piccola porta. Le voci riprendono.
“Dobbiamo discutere” dice la voce rauca.
“Dobbiamo?”
“Lo sai. Dobbiamo decidere”.
“Io non ne sono sicura. Perché dobbiamo?”
“Perché…perché…lo sai bene, perché” taglia corto la voce maschile.
“No, senti io non so niente” dice la voce femminile con un filo di agitazione.
“Credimi, è solo per il suo bene”
“Per il suo bene? Quale bene? Non va bene così come siamo?”
“E’ per il suo bene, dobbiamo…”
“E se non gli dicessimo niente?” implora la voce femminile.
“Che dici? Come niente? Ma come ti viene…”.
Il tono della voce maschile è implacabile.
“Sì, niente. NON VOGLIO CHE GLI DICIA-…”
“Fa piano! Dobbiamo. Vuoi che lo sappia nel modo peggiore? E se qualcuno parla?” incalza la voce d’uomo.
“Ma chi?”
“Tua sorella, ad esempio. Sai che riesce a tenere un segreto”.
“Ma no! Figurati…”.
“E poi lui sospetta qualcosa…” dice la voce d’uomo.
“Ma che dici? Il bambino?”
“Bambino… quale bambino? Ha tredici anni!” la voce dell’uomo è sempre più roca. “E poi l’altra sera…quel film sui desaparecidos argentini…”
“Che film?”
“Quello del ragazzo che scopre che è stato adottato e che quello che crede suo padre ha ucciso la vera madre…”.
“E tu gli hai lasciato vedere…?” il tono della voce femminile ora è concitato.
“Parla piano… Dopo il film mi guardava in un modo… Ti dico che sospetta. E poi è un suo diritto sapere. ”
“E’ mio figlio! Cosa c’è da sapere…Sua madre sono io… SONO IO!” dice la voce di donna rotta da quelli che sembrano dei singhiozzi.
Ascolto in silenzio dietro la porta, ma non sono sicuro. La voce della donna gli ricorda qualcosa o qualcuno. Anche quella roca dell’uomo. Non sono sicuro. Non ho il coraggio di aprire la porta, di entrare. Non può essere. E’ tutto così strano.
“Devi promettere. GIURAMELO!” incalza la voce della donna.
L’uomo accosta la fronte alla porta chiusa. Non può essere.
“Me lo devi giurare. Non gli diremo mai niente, MAI!”.
Un lungo silenzio. Qualcosa che sembra un sospiro o forse un pianto soffocato nella stanza di là dalla porta chiusa. Un brivido di vento sui vetri,  mentre l’orologio della chiesa giù in paese batte le tre.
Lentamente impugno la maniglia. La piccola porta tra la mia cameretta e quella dei miei genitori è chiusa a chiave. Chissà da quanto tempo. Esco nel corridoio. Nella casa vuota regna il silenzio. La porta della camera da letto dei genitori che dà sul corridoio è aperta. Il comò è ingombro di scatole di medicinali. Sul letto un materasso ed una coperta. Alla luce che viene dal corridoio si riescono a vedere appena delle foto sul comodino. Faccio fatica a riconoscermi ma il bimbo ritratto in abito da scolaretto sono proprio io. Accanto alla mia foto c’è l'immagine di mamma e papà il giorno delle loro nozze. Felici. 
A fianco alla testata del letto la piccola porta che comunica con la mia cameretta. Chiusa. Chissà dov’è nascosta la chiave. A ben pensarci io quella porta non l’ho mai vista aperta, nemmeno una volta. E’ sempre rimasta chiusa.

Chiusa per sempre.

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TRADUZIONI. SHAKESPEARE SONETTO 73

Quello che in me vedi è il tempo dell'anno In cui ingiallite foglie pendono dai rami e cadono rabbrividendo incontro al gelo nude rovine ove già cantavano gli uccelli. Quello che in me vedi è il crepuscolo del giorno Che ad occidente svanisce nella sera e piano piano la notte nera inghiotte ombra di morte in cui tutto si placa. Quello che in me vedi è il brillar del fuoco che tra le ceneri di gioventù giace come sul letto di morte in cui ha fine oggi consunta da ciò che la nutriva un dì. Questo di me tu vedi che l'amore tuo accresce Perché meglio tu possa amare chi lascerai tra poco. That time of year thou mayst in me behold,  When yellow leaves, or none, or few do hang  Upon those boughs which shake against the cold,  Bare ruined choirs, where late the sweet birds sang.  In me thou seest the twilight of such day,  As after sunset fadeth in the west, Which by and by black night doth take away, Death’s second self that seals up all in rest.  In me thou

Aquila di Lord Alfred Tennyson

Con artigli deformi la rupe afferra; Intima del sole su desolata terra ella si leva e l'azzurro mondo la rinserra. A lei s'inchina la superficie increspata; Dai suoi montani spalti ella scruta Ed è come la folgore precipitata. He clasps the crag with crooked hands; Close to the sun in lonely lands, Ringed with the azure world, he stands. The wrinkled sea beneath him crawls; He watches from his mountain walls, And like a thunderbolt he falls. ©trad.Bruno Martellone- Treviso, 3/3/2012

Shakespeare - Sonetto 35 (traduzione)

Per ciò che hai fatto non ti crucciare Le rose hanno spine, fango le fonti Eclissi e nubi coprono la luna e il sole Nella più dolce rosa un verme vive. Sbagliano tutti ma fu mio errore  difendere te frodando me stesso  Ora per scagionarti vado in rovina giustificando una colpa senza scuse. E poiché sono complice del tuo peccato sono ad un tempo tuo contraddittore E tuo avvocato e di me stesso accusatore E tanto in me duellano odio e amore Che contro la mia volontà faccio il palo alla dolce ladra che spietata mi deruba.