Ciò che chiamiamo Auschwitz non è solo l'Olocausto, l'annientamento di milioni di uomini, ma l'uccisione dell'umanità delle persone che precede l'uccisione dei corpi. Uccisione dell'umanità delle vittime, loro riduzione a sotto-uomini, resi incapaci di opporsi all'annientamento subito (pochissimi infatti si ribellarono, qualcuno si uccise), ma anche uccisione dell'umanità degli assassini ridotti a strumenti di uccisione dei corpi. Disumanità non subita ma consapevolmente voluta. Perfino lucidamente teorizzata da Himmler, come necessaria per divenire Ubermenschen. Superuomini o sottouomini, comunque non-uomini. Ciò che appare terrificante non è lo sterminio di moltitudini, che è stato sempre e ancora accadrà, nè la ferocia degli assassini che è pur sempre un tratto di umanità possibile (Feroci come bestie? No feroci come uomini ci ricorda Shakespeare), ma la disumanità di quest'ultimi, ciò che Arendt chiama "banalità" cioè la rinuncia/assenza di quella "proprietà" dell'uomo (Stirner) che è il pensiero, di un pensiero "proprio", di ciò che in definitiva fa "libero" l'uomo, sottraendolo all'ordine di morte.
L'orrore non sono le vittime, ma piuttosto i carnefici.