M’è impossibile dare a “Parola” tanto valore. Devo tradurre altrimenti, se mi darà giusto lume lo Spirito. Sta scritto: “In principio era il Pensiero”. Medita bene il primo rigo, chè non ti corra troppo la penna. Quel che tutto crea e opera, è il Pensiero? Dovrebb’essere: “In principio era l’Energia”. Pure, mentre trascrivo questa parola, qualcosa Già mi dice lo Spirito! Ecco che vedo chiaro E, ormai sicuro scrivo: “In principio era l’Azione!”. (J. W. Goethe - Faust - Prima parte)
Logorrea
E' vocabolo composito
Viene dal greco antico
"Logos" più "ro"
Il primo ,sostantivo
Vuol dire parola, discorso,
Ma anche ragione o giudizio
"Ro", invece è verbo
E significa fluire scorrere,
Vedi anche piorrea menorrea gonorrea
Logorrea, appunto.
Dunque parola che scorre
Praticamente la diarrea dalla bocca
Nè desti qui eccessivo scandalo
L’accostamento merda-parola, bocca-ano
L’oralità in fondo è quella fase
Nell'infanzia dello sviluppo psicosessuale
Che va superata per avere accesso
A quell'atra che Freud chiama la fase anale
Collegata quest’ultima
All'acquisito controllo degli sfinteri
Fare la cacca da soli senza aiuto di alcuno
E quindi acquistare maggiore consapevolezza di sé
Autostima e autonomia
Associate al conquistato e controllato piacere
della defecazione
Libertà di fare la cacca quando si vuole
E non quando s’impone incontrollata.
Svergognandoci scappa
C’era però qualcosa in me
Visto il flusso infrenato del mio dire
Che non ha funzionato
(E le conseguenze non mandano un buon odore)
Probabilmente la fase orale non si è mai superata
O il transito in essa è andato troppo per le lunghe
Nè si traggano troppo ottimistiche conclusioni
Dalla circostanza che passando gli anni
ho imparato ed uso largamente la scrittura
Infatti anche se percorro la carta
E non apro la bocca
E’ sempre la parola-diarrea
Orale o scritta
Che impone le sue regole
Il tentativo della scrittura
Di frenare la parola che scorre
Ma anche il pensiero che va
La selvaggia ragione che corre
E’ destinato quasi sempre a fallire
Cercare di “fare cose con le parole”
(Come direbbe il mio Austin
filosofo oxoniense)
Renderle afferrabili cose non flatus voci
E’ solo teoria (mia e del filosofo)
E per giunta fragile e contraddittoria
Come più oltre dimostrerò
E anche qui, lo vedi da questa mia scrittura,
Non c'è limpido scorrere
Piuttosto reo scroscio di fognatura
Inafferrabile perdersi
Nella parola-diarrea
Che orale oppur scritta
Proferita o pensata
Evacuata comunque.
(E' forse d'uopo un excursus
Un poco di storia della filosofia
Breve dimostrazione di quanto ora detto
Che metto tra pudiche parentesi
Ma che può anche saltarsi a piè pari:
Dunque fin da principio
Il fatto era chiaro a Socrate
Cioè che lo scritto vale poco in teoria
E per nulla in pratica
Egli che mai non scrisse
E parlava anche poco
Era forse unico vero signore della parola
Lasciava all’altro enunciare
Ciò che l'altro di sapere credeva
Limitandosi a porre qualche domanda qua e là
Qualche velenosa domanda
Parlando pochissimo
E solo per dire quello che non sapeva
Lasciando perlopiù tutti muti.
Platone gli fu seguace, ma solo a metà
Perchè, è vero, egli scriveva
Però in forma di dialogo
I suoi resoconti dialettici
Erano come filosofici verbali d'interrogatorio
Del tipo: "A domanda rispose”
Dunque in pratica era come se discorresse
O meglio ancora come se riportasse
Discussioni discorsi
Dichiarazioni spontanee in dibattimento
E se pure lui alla fine
Nient'altro faceva che porre domande
A differenza di Socrate che di non saper sapeva
Platone sapeva fin troppo quello che sapeva
Non perdeva mai il filo
Anche perché - bella forza!
Era lui stesso ad interrogare e rispondersi.
Quanto al Maestro di color che sanno
Riparato sotto il suo comodo Portico
Nemmeno lui sembra scrivesse
Lasciando a chi l’ascoltava
Lo sforzo di fermare su carta
E poi ripulire
Ciò che scorreva dalla sua bocca.
Cosicchè nessuno sa se sapesse davvero
O preferisse evacuare
Liberarsi della teoria
Per dedicarsi alla pratica.
Netta invece la scelta di Kant
Di scrivere tutto, ma proprio tutto
Ogni più minuto movimento
Del proprio puro pensare
Consapevole che ciò a nulla servisse
Soprattutto per quanto il pensiero
Va ben oltre ciò che nella vita è possibile
Vale infatti il detto comune
Che ciò ch’è giusto in teoria
Non è detto sia giusto nella pratica
La quale ultima vale più d’ogni cosa
Dunque sapere val poco o nulla
E democraticamente chi sa
Vale tanto quanto chi non sa
E meno di chi, non sapendo, fa.
Fate voi.
E con ciò si arriva al pensiero moderno
Ed oltre non si va nel pensare
Finalmente trionfa il pratico dire
Cioè dall'operoso silenzio
Alla teoria delle cose fatte di parole
O come direbbe il mio Austin
Filosofo oxoniense
Che però la sua
Essendo teoria che afferma
La superiorità della prassi-parola
Sulla parola-teoria
Altro non è che parola-diarrea
Capace di dire solo dicendo contro sé stessa.
Disfate pur voi).
Dunque siamo tornati d’un balzo
Dopo rapido inutile exursus
Riassuntivo di oltre due millenni
D’umano pensare e dunque dire
Al punto che qui ci interessa
Né la teoria né la pratica
Non la scrittura non l’oralità
Ma la vita nella sua tragica semplicità
Avrebbe qualcosa davvero da dire.
Il fatto è però
Che io soffro di un disturbo di personalità
Di tipo misto direi
A sfondo un bel po’narcisistico
E un bel po’ aggressivo-passivo.
E sotto il primo profilo
In pratica io non do nulla
Anzi se un tempo ho dato
O sembrava che dessi qualcosa
In realtà non era mio ciò che davo
Nessun può dare, infatti,
Se non ciò che ha ricevuto
E che pertanto in realtà non è suo.
Ciò ch’è dato è dato è dato
Come anche il sommo Ulpiano diceva
E dunque dare è come non dare
E così anch’io non davo
Perchè nulla era mio
Ma solo ciò che d'avo
A me era dato io davo.
Però attenti che essendo
Io un aggressivo-passivo
Chi eventualmente fosse stato
Aggressivo-attivo con me
Cioè avesse da me preteso
Ciò che dando non davo
Io non non avrei proprio dato
Nemmeno nell’apparenza
Al massimo sì, ma in ritardo
Quando a nulla ormai più fosse servito
Io stesso fissando non richieste scadenze
Per poterle violare
Termini perloppiù perentori pericolosamente ravvicinati
Entro e non oltre i quali
Poter finalmente godere il ritardo
(Non ardo, ma ri(t)ardo)
Per tornare all'utile metafora
Di cui ho già mi sono servito ampiamente
Era come trattenere la cacca
Per poterla fare comodamente fuori del vaso
Salvo poi non controllare l’apparato sfinterico
Di qui l’irreparabile auto-catastrofe.
Questo in pratica vuol dire aggressivo-passivo.)
Guardando poi alla componente narcisista della mia personalità
Finché di me si parlava
Non potevo a mia volta tacere
E se si parlava d'altro
Per reazione diventavo perfino pericoloso
Mai però attivamente aggressivo
Il più delle volte affettuosamente anaffettivo.
O anaffettivamente affettuoso.
Fate voi.
Anche adesso che lo sto confessando
Questa mia contorta natura
E a voi tutti do ampia ragione
Soprattutto a chi di voi ragione non ha
Mi sorge ancora il dubbio
Che sia perché non amo nessuno,
Nemmeno me stesso, sia inteso
- Narciso s'innamora non di sé
Ma di un vuoto riflesso di sé -
Non sento alcun rimorso nè riconosco colpa
Limitandomi ad attendere inerte lo scadere dei termini
Che io stesso ho fissato.
Riassumendo,
Tra un’ipertropico autocontemplante Io
Ed il vuoto di volontà l’apparente passività
In me s’è stretto un non districabile nodo
Non sentendo mio il patrimonio-demonio
Che la fortuna mi ha dato
Ho lasciato che fosse il tempo a distruggerlo
Apponendo io stesso, ripeto, la data di scadenza
Con riserva mentale di non pagare alcuna cambiale
Ciò che da me pretendete, mai l’avrete
Visto che neanch’io veramente l’avrò
E tu, anche se non hai per nulla ragione, io te la do
Eccotela. A me non interessa avere ragione
In realtà non c’è stata discussione
-Io sono passivo-aggressivo, ricordi?
Io do sempre ragione sempre
Che se poi la discussione
Fosse su cosa si può o non si può dire
Io non teorizzerei anzi negherei la libertà di dire
Nel contempo praticandola con un profluvio di parole
Obbligandomi ad un infinito parlare
Affinchè tu abbia la libertà di tacere
Il piacere di sentirmi parlare
E riprender fiato negli intervalli
Nego la libertà così in teoria
Affermandola nell’unico luogo
In cui ha senso per me che esista
Cioè nel pratico inadempimento
La libertà dell’ingiustificato ritardo
Oltre il termine essenziale
Oltre la messa in mora
Non è contraddizione questa
Più che non sia una passiva-aggressione
Ed è più forte di me non lo faccio apposta,
Logorroico narcisista
Inerte aggressore
Mi si può solo censurare per le parole che non dico.
L’unico modo con me per chiudere
Una discussione mai cominciata
Non è di sospendermi o cancellarmi
Ma finalmente indurmi ad un operativo silenzio
Darmi qualcosa da fare, colle mani, magari
Al limite mandarmi praticamente
- non solo letteralmente - a cagare
Altrimenti non mi limito a quel che dico
Ma nell'attesa dell'irreparabile ritardo
Infinitamente aggiungo modifico
Ciò che ho già detto.
Ma è il narcisismo, in definitiva
(un narcisismo tutto mio, personalizzato, naturalmente)
La scaturigine ed il finale traguardo
Di questo mio essere lettore di me stesso
Più che scrittore della mia vita
L'infinito contemplarmi e riscrivermi
Il possibile rischio di annullarmi nella mia immagine .
Comunque, se posso aggiungere
Senza l'aria d'essere definitivo,
Se il come è perlopiù relativo al cosa,
Ritengo non ci si debba scandalizzare
Neppure se il come a volte scandalizza
E diventa cosa. A volte accade.
Sempre il mio filosofo Austin l’ha spiegato
Come con parole si fanno cose.
Ed anche è un dato
Di fatto se non di diritto
Che l’oralità stimola la discussione
E quant’altro, si capisce
La discussione ed il tema della medesima
Inevitabilmente ha a che fare con questo.
Al centro per l'impiego risulto inoccupato
Da troppo tempo
Questo alla fine il risultato
(Di tante parole mi verrebbe da dire
Ma meglio tacere)
Ho lavorato in effetti, ma è stato un po' di tempo fa.
Ed anche quelle, del resto, erano soltanto parole.
Se ora solamente teorizzo.
Scrivo e dico.
Vivo solo in teoria.
Per vivere nella realtà forse dovrei tacere.
Forse quello che ho scritto mi aiuta
Magari la scrittura se non impedisce
Rallenta l'oralità ulteriore.
Era un altro il tema, comunque,
O almeno pareva
Non era l’oralità o la scrittura
Ma era la vita il tema
E se da quando ho preso parola
Parola mi ha preso
Detta o scritta non conta
La mortale difesa del dire
Ha preso il sopravvento su me.
E se anche in principio era la parola
(ma non lo credo ed anche Goethe lo nega)
E’ comunque giunta l’ora che smetta di dire,
La faccia finalmente finita.
Se ha più vita la parola detta,
Di quanto non abbia la parola scritta
Più di tutto varrà
In un modo o nell’altro
Il silenzio operativo
Quello assoluto assoluto
Che non si ascolta nemmeno
Il silenzio orale vale più dello scritto
Senza più metter bocca né segno
Tra me e la vita
Lascerò che la vita parli per me
Se ancora ne ha voglia.
Starò zitto.
Lavorerò con le mani.
Ascolterò la tensione tra il dire e il fare
Che non ho voluto mai accettare.
Logorrea
E' vocabolo composito
Viene dal greco antico
"Logos" più "ro"
Il primo ,sostantivo
Vuol dire parola, discorso,
Ma anche ragione o giudizio
"Ro", invece è verbo
E significa fluire scorrere,
Vedi anche piorrea menorrea gonorrea
Logorrea, appunto.
Dunque parola che scorre
Praticamente la diarrea dalla bocca
Nè desti qui eccessivo scandalo
L’accostamento merda-parola, bocca-ano
L’oralità in fondo è quella fase
Nell'infanzia dello sviluppo psicosessuale
Che va superata per avere accesso
A quell'atra che Freud chiama la fase anale
Collegata quest’ultima
All'acquisito controllo degli sfinteri
Fare la cacca da soli senza aiuto di alcuno
E quindi acquistare maggiore consapevolezza di sé
Autostima e autonomia
Associate al conquistato e controllato piacere
della defecazione
Libertà di fare la cacca quando si vuole
E non quando s’impone incontrollata.
Svergognandoci scappa
C’era però qualcosa in me
Visto il flusso infrenato del mio dire
Che non ha funzionato
(E le conseguenze non mandano un buon odore)
Probabilmente la fase orale non si è mai superata
O il transito in essa è andato troppo per le lunghe
Nè si traggano troppo ottimistiche conclusioni
Dalla circostanza che passando gli anni
ho imparato ed uso largamente la scrittura
Infatti anche se percorro la carta
E non apro la bocca
E’ sempre la parola-diarrea
Orale o scritta
Che impone le sue regole
Il tentativo della scrittura
Di frenare la parola che scorre
Ma anche il pensiero che va
La selvaggia ragione che corre
E’ destinato quasi sempre a fallire
Cercare di “fare cose con le parole”
(Come direbbe il mio Austin
filosofo oxoniense)
Renderle afferrabili cose non flatus voci
E’ solo teoria (mia e del filosofo)
E per giunta fragile e contraddittoria
Come più oltre dimostrerò
E anche qui, lo vedi da questa mia scrittura,
Non c'è limpido scorrere
Piuttosto reo scroscio di fognatura
Inafferrabile perdersi
Nella parola-diarrea
Che orale oppur scritta
Proferita o pensata
Evacuata comunque.
(E' forse d'uopo un excursus
Un poco di storia della filosofia
Breve dimostrazione di quanto ora detto
Che metto tra pudiche parentesi
Ma che può anche saltarsi a piè pari:
Dunque fin da principio
Il fatto era chiaro a Socrate
Cioè che lo scritto vale poco in teoria
E per nulla in pratica
Egli che mai non scrisse
E parlava anche poco
Era forse unico vero signore della parola
Lasciava all’altro enunciare
Ciò che l'altro di sapere credeva
Limitandosi a porre qualche domanda qua e là
Qualche velenosa domanda
Parlando pochissimo
E solo per dire quello che non sapeva
Lasciando perlopiù tutti muti.
Platone gli fu seguace, ma solo a metà
Perchè, è vero, egli scriveva
Però in forma di dialogo
I suoi resoconti dialettici
Erano come filosofici verbali d'interrogatorio
Del tipo: "A domanda rispose”
Dunque in pratica era come se discorresse
O meglio ancora come se riportasse
Discussioni discorsi
Dichiarazioni spontanee in dibattimento
E se pure lui alla fine
Nient'altro faceva che porre domande
A differenza di Socrate che di non saper sapeva
Platone sapeva fin troppo quello che sapeva
Non perdeva mai il filo
Anche perché - bella forza!
Era lui stesso ad interrogare e rispondersi.
Quanto al Maestro di color che sanno
Riparato sotto il suo comodo Portico
Nemmeno lui sembra scrivesse
Lasciando a chi l’ascoltava
Lo sforzo di fermare su carta
E poi ripulire
Ciò che scorreva dalla sua bocca.
Cosicchè nessuno sa se sapesse davvero
O preferisse evacuare
Liberarsi della teoria
Per dedicarsi alla pratica.
Netta invece la scelta di Kant
Di scrivere tutto, ma proprio tutto
Ogni più minuto movimento
Del proprio puro pensare
Consapevole che ciò a nulla servisse
Soprattutto per quanto il pensiero
Va ben oltre ciò che nella vita è possibile
Vale infatti il detto comune
Che ciò ch’è giusto in teoria
Non è detto sia giusto nella pratica
La quale ultima vale più d’ogni cosa
Dunque sapere val poco o nulla
E democraticamente chi sa
Vale tanto quanto chi non sa
E meno di chi, non sapendo, fa.
Fate voi.
E con ciò si arriva al pensiero moderno
Ed oltre non si va nel pensare
Finalmente trionfa il pratico dire
Cioè dall'operoso silenzio
Alla teoria delle cose fatte di parole
O come direbbe il mio Austin
Filosofo oxoniense
Che però la sua
Essendo teoria che afferma
La superiorità della prassi-parola
Sulla parola-teoria
Altro non è che parola-diarrea
Capace di dire solo dicendo contro sé stessa.
Disfate pur voi).
Dunque siamo tornati d’un balzo
Dopo rapido inutile exursus
Riassuntivo di oltre due millenni
D’umano pensare e dunque dire
Al punto che qui ci interessa
Né la teoria né la pratica
Non la scrittura non l’oralità
Ma la vita nella sua tragica semplicità
Avrebbe qualcosa davvero da dire.
Il fatto è però
Che io soffro di un disturbo di personalità
Di tipo misto direi
A sfondo un bel po’narcisistico
E un bel po’ aggressivo-passivo.
E sotto il primo profilo
In pratica io non do nulla
Anzi se un tempo ho dato
O sembrava che dessi qualcosa
In realtà non era mio ciò che davo
Nessun può dare, infatti,
Se non ciò che ha ricevuto
E che pertanto in realtà non è suo.
Ciò ch’è dato è dato è dato
Come anche il sommo Ulpiano diceva
E dunque dare è come non dare
E così anch’io non davo
Perchè nulla era mio
Ma solo ciò che d'avo
A me era dato io davo.
Però attenti che essendo
Io un aggressivo-passivo
Chi eventualmente fosse stato
Aggressivo-attivo con me
Cioè avesse da me preteso
Ciò che dando non davo
Io non non avrei proprio dato
Nemmeno nell’apparenza
Al massimo sì, ma in ritardo
Quando a nulla ormai più fosse servito
Io stesso fissando non richieste scadenze
Per poterle violare
Termini perloppiù perentori pericolosamente ravvicinati
Entro e non oltre i quali
Poter finalmente godere il ritardo
(Non ardo, ma ri(t)ardo)
Per tornare all'utile metafora
Di cui ho già mi sono servito ampiamente
Era come trattenere la cacca
Per poterla fare comodamente fuori del vaso
Salvo poi non controllare l’apparato sfinterico
Di qui l’irreparabile auto-catastrofe.
Questo in pratica vuol dire aggressivo-passivo.)
Guardando poi alla componente narcisista della mia personalità
Finché di me si parlava
Non potevo a mia volta tacere
E se si parlava d'altro
Per reazione diventavo perfino pericoloso
Mai però attivamente aggressivo
Il più delle volte affettuosamente anaffettivo.
O anaffettivamente affettuoso.
Fate voi.
Anche adesso che lo sto confessando
Questa mia contorta natura
E a voi tutti do ampia ragione
Soprattutto a chi di voi ragione non ha
Mi sorge ancora il dubbio
Che sia perché non amo nessuno,
Nemmeno me stesso, sia inteso
- Narciso s'innamora non di sé
Ma di un vuoto riflesso di sé -
Non sento alcun rimorso nè riconosco colpa
Limitandomi ad attendere inerte lo scadere dei termini
Che io stesso ho fissato.
Riassumendo,
Tra un’ipertropico autocontemplante Io
Ed il vuoto di volontà l’apparente passività
In me s’è stretto un non districabile nodo
Non sentendo mio il patrimonio-demonio
Che la fortuna mi ha dato
Ho lasciato che fosse il tempo a distruggerlo
Apponendo io stesso, ripeto, la data di scadenza
Con riserva mentale di non pagare alcuna cambiale
Ciò che da me pretendete, mai l’avrete
Visto che neanch’io veramente l’avrò
E tu, anche se non hai per nulla ragione, io te la do
Eccotela. A me non interessa avere ragione
In realtà non c’è stata discussione
-Io sono passivo-aggressivo, ricordi?
Io do sempre ragione sempre
Che se poi la discussione
Fosse su cosa si può o non si può dire
Io non teorizzerei anzi negherei la libertà di dire
Nel contempo praticandola con un profluvio di parole
Obbligandomi ad un infinito parlare
Affinchè tu abbia la libertà di tacere
Il piacere di sentirmi parlare
E riprender fiato negli intervalli
Nego la libertà così in teoria
Affermandola nell’unico luogo
In cui ha senso per me che esista
Cioè nel pratico inadempimento
La libertà dell’ingiustificato ritardo
Oltre il termine essenziale
Oltre la messa in mora
Non è contraddizione questa
Più che non sia una passiva-aggressione
Ed è più forte di me non lo faccio apposta,
Logorroico narcisista
Inerte aggressore
Mi si può solo censurare per le parole che non dico.
L’unico modo con me per chiudere
Una discussione mai cominciata
Non è di sospendermi o cancellarmi
Ma finalmente indurmi ad un operativo silenzio
Darmi qualcosa da fare, colle mani, magari
Al limite mandarmi praticamente
- non solo letteralmente - a cagare
Altrimenti non mi limito a quel che dico
Ma nell'attesa dell'irreparabile ritardo
Infinitamente aggiungo modifico
Ciò che ho già detto.
Ma è il narcisismo, in definitiva
(un narcisismo tutto mio, personalizzato, naturalmente)
La scaturigine ed il finale traguardo
Di questo mio essere lettore di me stesso
Più che scrittore della mia vita
L'infinito contemplarmi e riscrivermi
Il possibile rischio di annullarmi nella mia immagine .
Comunque, se posso aggiungere
Senza l'aria d'essere definitivo,
Se il come è perlopiù relativo al cosa,
Ritengo non ci si debba scandalizzare
Neppure se il come a volte scandalizza
E diventa cosa. A volte accade.
Sempre il mio filosofo Austin l’ha spiegato
Come con parole si fanno cose.
Ed anche è un dato
Di fatto se non di diritto
Che l’oralità stimola la discussione
E quant’altro, si capisce
La discussione ed il tema della medesima
Inevitabilmente ha a che fare con questo.
Al centro per l'impiego risulto inoccupato
Da troppo tempo
Questo alla fine il risultato
(Di tante parole mi verrebbe da dire
Ma meglio tacere)
Ho lavorato in effetti, ma è stato un po' di tempo fa.
Ed anche quelle, del resto, erano soltanto parole.
Se ora solamente teorizzo.
Scrivo e dico.
Vivo solo in teoria.
Per vivere nella realtà forse dovrei tacere.
Forse quello che ho scritto mi aiuta
Magari la scrittura se non impedisce
Rallenta l'oralità ulteriore.
Era un altro il tema, comunque,
O almeno pareva
Non era l’oralità o la scrittura
Ma era la vita il tema
E se da quando ho preso parola
Parola mi ha preso
Detta o scritta non conta
La mortale difesa del dire
Ha preso il sopravvento su me.
E se anche in principio era la parola
(ma non lo credo ed anche Goethe lo nega)
E’ comunque giunta l’ora che smetta di dire,
La faccia finalmente finita.
Se ha più vita la parola detta,
Di quanto non abbia la parola scritta
Più di tutto varrà
In un modo o nell’altro
Il silenzio operativo
Quello assoluto assoluto
Che non si ascolta nemmeno
Il silenzio orale vale più dello scritto
Senza più metter bocca né segno
Tra me e la vita
Lascerò che la vita parli per me
Se ancora ne ha voglia.
Starò zitto.
Lavorerò con le mani.
Ascolterò la tensione tra il dire e il fare
Che non ho voluto mai accettare.