Era impossibile non accorgersi di lei. Anche guardarle gli occhi. Troppo blu, non ci riuscivo.
Lei lo capì subito e tutte le volte che incrociavo il suo sguardo mi sfidava con un sorriso mentre abbassavo il mio.
Ero da due mesi in clinica e la mattina che arrivò fumavo in giardino con altri pazienti.
“Mi regali la pipa?”, disse fissandomi.
Finsi di non sentire.
Lei si guardò intorno senza troppa speranza.
“Bel posto qui. Nessuno che sappia come si tratta una signora?” disse con un sorriso forzato.
Nei giorni a seguire ci incrociammo più volte. Senza mai parlare, senza nemmeno guardarci in faccia.
“Occhiblu è una gran figa” disse una sera Alberto il mio compagno di stanza. “Mi fa tornare la voglia che avevo prima delle medicine.”
“Non pensarci, Alberto, spegni la luce”.
Arrivò domenica, giorno di visite. Con il permesso del primario, se garantiva un parente o un amico, si poteva uscire.
Per me venne Giulia dalla città. Mi portò a pranzo sui colli, poi salimmo in una camera che aveva preso in affitto. Facemmo l’amore senza quasi parlare per tutto il pomeriggio come due affamati. Io avevo paura che non funzionasse, ma andò tutto bene.
La clinica era a meno di 300 metri e verso sera, affacciandomi vidi le finestre illuminate oltre gli alberi. Pensai che qualcuno da lì stava guardando verso questa parte, magari con invidia.
Prima di riaccompagnarmi, Giulia disse che era l’ultima volta. Le figlie non volevano e a lei vedermi così costava troppa fatica.
“Ho capito”, taglia corto.
In corsia lei era in vestaglia, con due solchi neri al posto degli occhi, aspettava la terapia per la notte.
“Cena in camera” dissi “Se vuole la invito da me”.
“Hai scopato, stronzo”, disse con odio.
Più tardi, durante la notte, mi svegliò un pianto disperato. Dopo mesi conoscevo il pianto di tutti e ormai non mi faceva più effetto. Quello di occhiblu non era diverso. Aspettai che si spegnesse l’ultimo singhiozzo.
La domenica successiva, lei si affacciò alla mia stanza, entrando senza nemmeno bussare.
Io ero ancora in pigiama, in piedi da poco. Lei truccatissima e vestita in modo molto provocante.
“Non esci in permesso con la tua donna?”
“Non so”, risposi. “Non vorrei che troppa aria mi facesse male.”.
“Vuoi dire troppe scopate” disse scostandosi in modo che potessi vedere il suo ragazzo. “Noi comunque andiamo. Non so se torno”.
Rideva e anche il giovanotto che le circondava i fianchi da dietro mi guardava divertito.
La domenica interminabile giunse al suo termine. Eravamo già tutti a letto. All’improvviso qualcuno entrò nella stanza buia.
“Non ci siamo presentati. Io sono Claudia e sono tornata”.
“Io sono Bruno” dissi io. “Sono felice che sei tornata. Lo sai che quando piangi di notte non dormo?”
“Lo so, lo faccio apposta solo per te”, disse. “Anche stanotte ti terrò sveglio”.
Lei si avvicinò al mio letto e appoggiò le mani sul mio petto, stendendosi sopra di me. Io lasciai fare. Era leggera come una bambina e profumava di viole e di calle.
Si accese all'improvviso la luce. Vidi allora che gli occhi di Claudia non erano solo bellissimi, ma molto strani e irrequieti. E anche la voce non era quella di una persona tranquilla.
Lei lo capì subito e tutte le volte che incrociavo il suo sguardo mi sfidava con un sorriso mentre abbassavo il mio.
Ero da due mesi in clinica e la mattina che arrivò fumavo in giardino con altri pazienti.
“Mi regali la pipa?”, disse fissandomi.
Finsi di non sentire.
Lei si guardò intorno senza troppa speranza.
“Bel posto qui. Nessuno che sappia come si tratta una signora?” disse con un sorriso forzato.
Nei giorni a seguire ci incrociammo più volte. Senza mai parlare, senza nemmeno guardarci in faccia.
“Occhiblu è una gran figa” disse una sera Alberto il mio compagno di stanza. “Mi fa tornare la voglia che avevo prima delle medicine.”
“Non pensarci, Alberto, spegni la luce”.
Arrivò domenica, giorno di visite. Con il permesso del primario, se garantiva un parente o un amico, si poteva uscire.
Per me venne Giulia dalla città. Mi portò a pranzo sui colli, poi salimmo in una camera che aveva preso in affitto. Facemmo l’amore senza quasi parlare per tutto il pomeriggio come due affamati. Io avevo paura che non funzionasse, ma andò tutto bene.
La clinica era a meno di 300 metri e verso sera, affacciandomi vidi le finestre illuminate oltre gli alberi. Pensai che qualcuno da lì stava guardando verso questa parte, magari con invidia.
Prima di riaccompagnarmi, Giulia disse che era l’ultima volta. Le figlie non volevano e a lei vedermi così costava troppa fatica.
“Ho capito”, taglia corto.
In corsia lei era in vestaglia, con due solchi neri al posto degli occhi, aspettava la terapia per la notte.
“Cena in camera” dissi “Se vuole la invito da me”.
“Hai scopato, stronzo”, disse con odio.
Più tardi, durante la notte, mi svegliò un pianto disperato. Dopo mesi conoscevo il pianto di tutti e ormai non mi faceva più effetto. Quello di occhiblu non era diverso. Aspettai che si spegnesse l’ultimo singhiozzo.
La domenica successiva, lei si affacciò alla mia stanza, entrando senza nemmeno bussare.
Io ero ancora in pigiama, in piedi da poco. Lei truccatissima e vestita in modo molto provocante.
“Non esci in permesso con la tua donna?”
“Non so”, risposi. “Non vorrei che troppa aria mi facesse male.”.
“Vuoi dire troppe scopate” disse scostandosi in modo che potessi vedere il suo ragazzo. “Noi comunque andiamo. Non so se torno”.
Rideva e anche il giovanotto che le circondava i fianchi da dietro mi guardava divertito.
La domenica interminabile giunse al suo termine. Eravamo già tutti a letto. All’improvviso qualcuno entrò nella stanza buia.
“Non ci siamo presentati. Io sono Claudia e sono tornata”.
“Io sono Bruno” dissi io. “Sono felice che sei tornata. Lo sai che quando piangi di notte non dormo?”
“Lo so, lo faccio apposta solo per te”, disse. “Anche stanotte ti terrò sveglio”.
Lei si avvicinò al mio letto e appoggiò le mani sul mio petto, stendendosi sopra di me. Io lasciai fare. Era leggera come una bambina e profumava di viole e di calle.
Si accese all'improvviso la luce. Vidi allora che gli occhi di Claudia non erano solo bellissimi, ma molto strani e irrequieti. E anche la voce non era quella di una persona tranquilla.
“Vada a letto, signora” disse l’infermiera di notte, entrando.
“Vorrei dormire in questo letto, per favore”, disse lei con voce rauca e un po’ rabbiosa. “Il signore mi vuole”.
“Su, non dica stupidate, il signore deve dormire”.
L’infermiera uscì con lei, chiudendo la luce.
Il pianto di un cuore disperato e senza difesa si sentì per un po’ lungo il corridoio. Durò finché le mie medicine non fecero effetto.
Il giorno dopo volevo vedere occhiblu per parlarle. Ma più ancora volevo abbracciarla per sapere se era successo davvero. Nella sua stanza non c’era. Girai un po’ per la clinica, senza trovarla. Poi mi dissero che qualcuno era venuto a prenderla durante la mattinata.
Dopo pranzo tornai nella mia stanza. Alberto dormiva. Sul cuscino c’era un piccolo mazzo di calle e di viole profumate.
“Vorrei dormire in questo letto, per favore”, disse lei con voce rauca e un po’ rabbiosa. “Il signore mi vuole”.
“Su, non dica stupidate, il signore deve dormire”.
L’infermiera uscì con lei, chiudendo la luce.
Il pianto di un cuore disperato e senza difesa si sentì per un po’ lungo il corridoio. Durò finché le mie medicine non fecero effetto.
Il giorno dopo volevo vedere occhiblu per parlarle. Ma più ancora volevo abbracciarla per sapere se era successo davvero. Nella sua stanza non c’era. Girai un po’ per la clinica, senza trovarla. Poi mi dissero che qualcuno era venuto a prenderla durante la mattinata.
Dopo pranzo tornai nella mia stanza. Alberto dormiva. Sul cuscino c’era un piccolo mazzo di calle e di viole profumate.